L’ “Arrival” di un “autore di genere”

Villeneuve ci chiede “Cosa succederebbe se sapeste in che modo state per morire e quando morirete?”

In seguito ad un inizio di carriera strabiliante che potremmo definire “autoriale”, Denis Villeneuve arriva alla seconda fase della sua carriera, quella “Hollywodiana”.  Dopo aver stupito ancora, prima con Prisoners (2013) e poi con Sicario (2015), Dennis Villeneuve dirige il suo ottavo film e lo fa basato sul racconto “Storia della tua vita” di Ted Chiang. Il regista canadese si cimenta nella fantascienza rischiando di scontentare, con un film personale e introspettivo, sia gli appassionati della classica SCI-FI, sia gli amanti dei film d’autore. Una scelta coraggiosa che porta ad un film che ha alcune imperfezioni ma che risulta onesto ed umile nonostante sia ricco di effetti speciali.


L’atterraggio di 12 navicelle aliene in 12 punti diversi della Terra getta nel totale caos e incertezza tutto il genere umano. L’esercito americano chiama alcuni esperti in diversi settori accademici, tra questi vi è una linguista (Amy Adams) chiamata in causa per capire se le intenzioni degli invasori siano pacifiche o meno.


Arrival, come i migliori film di genere, ci pone davanti agli interrogativi filosofici di sempre. Villeneuve ce li spiattella direttamente durante la presentazione del suo film in anteprima nel corso della 73ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, chiedendosi e chiedendoci direttamente: “Cosa succederebbe se sapeste in che modo state per morire e quando morirete? Quale sarebbe il vostro rapporto con la vita, l’amore, la famiglia gli amici e la vostra società?”


Arrival è un film sulla difficoltà nel comprendere gli altri e quanto paura ci metta ciò che non capiamo.
Importante anche la riflessione sul linguaggio, strumento che ci permette di trovare un punto di contatto non solo con gli “altri” ma, anche con parti di noi nascoste che abbiamo rimosso o che ancora non conosciamo.
Il discernimento tra possibilità e volontà di comunicazione e le implicazioni di una visione circolare del tempo sono gli aspetti più interessanti del film che si dimostra perfetto dal punto di vista tecnico.


Impossibile non far riferimento all’uso che potremmo definire “espressionista” ed anche “narrativo” soprattutto della fotografia e del montaggio. Vorremmo essere più precisi ma è quasi impossibile farlo senza spoiler. Chi l’ha visto capirà.

Fantastica anche la colonna sonora del compositore islandese Jóhann Jóhannsson (scomparso prematuramente il 9 Febbraio 2018). Il film contiene musica non originale (“On the Nature of Daylight “ di Max Richter utilizzata due volte, rispettivamente per tre minuti la prima e cinque e mezzo la seconda, in momenti chiave del film.)

Evitando di spettacolarizzare il racconto, il regista canadese riesce a mantenere sempre alta l’attenzione dello spettatore, dimostrandosi uno dei migliori registi della sua generazione.

Molti hanno criticato il finale per il suo essere semplice o didascalico, noi sinceramente lo abbiamo trovato molto commovente e forse sì, un po’ sbrigativo, ma ciò non toglie che questo Arrival sia uno dei migliori film di fantascienza del nuovo millennio.